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venerdì 27 luglio 2018

Consulenze senza iscrizione all’albo, è esercizio abusivo anche se il cliente è informato


La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con sentenza n. 33464 del 18 luglio 2018, ha confermato la condanna di un professionista per esercizio abusivo della professione, in quanto, agendo quale titolare di uno studio, aveva esercitato abusivamente delle prestazioni per cui era espressamente prevista l’iscrizione all’albo (nella specie, dei commercialisti e degli esperti contabili o quello dei consulenti del lavoro). E questo anche se l’imputato medesimo aveva preventivamente informato il proprio cliente dell’assenza di abilitazione.

Reato di esercizio abusivo: inquadramento giurisprudenziale

I Giudici Supremi, respingendo una ad una le doglianze del professionista, hanno confermato l’assoggettabilità alla disciplina ordinistica dell’attività di consulenza tributaria e, quindi, l’integrazione del reato di esercizio abusivo di una professione nei termini di cui all’art. 348 c.p., laddove l’attività professionale venga esercitata, come nella specie, in assenza di abilitazione dello Stato.
La giurisprudenza di legittimità – si legge nella sentenza – ha dato all’esercizio abusivo della professione, una lettura espressiva del rispetto dei livelli di competenza necessari a garantire tutela ad interessi pubblici a protezione costituzionale. Per il meccanismo del rinvio alla disposizione extrapenale, il citato art. 348 c.p. diviene una sorta di “norma penale in bianco”, in quanto presuppone l’esistenza di altre norme volte ad individuare le professioni per le quali è richiesta la speciale abilitazione dello Stato e, con l’indicato titolo, le condizioni soggettive ed oggettive – tra le quali l’iscrizione ad un apposito albo – in mancanza delle quali l’esercizio risulta abusivo.
La nozione di esercizio abusivo della professione viene in considerazione nel suo duplice significato. E’ tale infatti il comportamento di chi eserciti la professione in assenza di prescritta abilitazione statale, qualora detto esercizio si connoti per una pluralità di atti che, pur non riservati in via esclusiva alla competenza di una specifica professione, nel loro continuo ed oneroso riproporsi, degenerino in una situazione di apparenza evocativa, con conseguente affidamento incolpevole della clientela.
Ciò detto, a nulla è valso per il ricorrente dedurre la genericità dell’attività di consulenza tributaria ed aziendale, posto che correttamente la Corte territoriale ha ricondotto l’attività ascritta all’imputato (tenuta della contabilità delle imprese e consulenze in materia tributaria e di lavoro), a quella che per legge è richiesta l'iscrizione all'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili o a quello dei consulenti del lavoro con conseguente integrazione del reato di esercizio abusivo. 

fonte: diritto.it


venerdì 20 luglio 2018

FERIE ESTIVE

L’esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta unicamente al datore di lavoro. Il potere discrezionale del datore di lavoro di fissare l’epoca delle ferie, però, non è privo di vincoli. Egli infatti è tenuto a:
  • tenere conto degli interessi del lavoratore (art. 2109 codice civile);
  • comunicare al lavoratore il periodo stabilito per il godimento delle ferie con sufficiente preavviso in modo da consentire al lavoratore di organizzare al meglio il riposo concesso;
  • rispettare il principio per cui le ferie devono essere godute entro l’anno e non successivamente.

     
Pertanto, è illegittima la determinazione unilaterale del periodo di godimento delle ferie da parte del datore di lavoro allorché:
  • non venga tenuto conto anche degli interessi dei lavoratori e non vi siano comprovate esigenze organizzative aziendali;
  • non venga salvaguardata la funzione fondamentale delle ferie, ossia di consentire al lavoratore la reintegrazione delle energie psicofisiche.


fonte: diritti e risposte

mercoledì 11 luglio 2018

Le novità previste dal decreto Dignità per i lavoratori precari

Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Al contratto può essere apposto un termine avente una durata superiore comunque non oltre ventiquattro mesi solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni: 

a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività per esigenze sostitutive di altri lavoratori; 

b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.

Per i rapporti di lavoro di durata non superiore a dodici mesi, l’apposizione del termine del contratto è priva di effetto se non risulta da atto scritto, una copia del quale deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall’inizio della prestazione e può essere liberamente prorogato nell'arco dei primi dodici mesi. 
In caso di proroga dello stesso rapporto superiore ai dodici mesi, la specificazione delle esigenze è necessaria. 
Le disposizioni del decreto si applicano ai contratti stipulati dopo l'entrata in vigore della legge nonché ai rinnovi ed alle proroghe dei contratti in essere.